Viaggio nel paesaggio sonoro: mappe della memoria, frontiere dell'avventura
Ci sono immagini capaci di evocare immediatamente un luogo o un'esperienza, lo sappiamo bene quando in viaggio scattiamo foto per poter portare a casa un angolo di mondo. Ma sono i suoni a rimanere impressi molto più a lungo nella memoria, solo che appaiono ricordi meno tangibili: non potendoli sfogliare in un album, dobbiamo andare a cercarli. A volte, poi, ritornano da soli.
Il filo che lega i miei viaggi ai suoni passa attraverso un vecchio audio-libro Mondadori che narrava “Le storie della gallina Tric Trac” e che ascoltavamo in auto su un mangianastri sparato a tutto volume: non era ancora l’epoca dell’aria condizionata e in estate si viaggiava con i finestrini un poco abbassati, con un conseguente fruscio che costringeva ad alzare la voce tra un sedile e l’altro.
Ma non mi sono accorta di quanti ricordi sonori conservi dei luoghi che ho visitato finché non ho letto il romanzo di Valeria Luiselli “Archivio dei bambini perduti” (La Nuova Frontiera), una storia in cui i suoni si intrecciano all’itinerario percorso da una famiglia lungo le strade americane.
Dei suoni che possono essere un richiamo per la mente quelli della natura sono molto evocativi e spesso i primi a legarsi a un luogo.
Il vento impetuoso che soffiava in Danimarca, sulla punta settentrionale dello Jutland, ha creato un paesaggio sonoro che è rimasto ben inciso nella mia memoria: le raffiche, capaci di scuotere il camper, creavano un sibilo fisso che a tratti si trasformava in uno schiaffo secco, per poi ricominciare dopo un istante di quiete. Quel suono ripetuto rimbomba ancora nelle mie orecchie mentre rivedo le case gialle di Skagen.
Il ritmico ondeggiare della risacca mi catapulta invece a Capo Bianco, all’Isola d’Elba, al tramonto, quando la spiaggia si svuota e rimane quel tintinnio prodotto dall’acqua, come un cullare della natura verso la notte.
Nel mondo in cui viviamo, rimbombante di rumori, l’assenza di suono ha una carica molto potente, soprattutto se legato a contrasti. Di Cordoba, in Andalusia, ricordo il silenzio dei patii ombrosi nelle prime ore del pomeriggio, quando solo noi abbiamo sfidato la calura estiva e passeggiato per le vie strette dove le persiane erano accostate. Quelle stesse vie, al tramonto, hanno ripreso vita, e dalle finestre spalancate si è diffuso il ritmico suono dei tacchi da flamenco sui pavimenti di legno, accompagnato dagli accordi di una chitarra e dal tipico “lamento” delle canzoni gitane.
A Bergen, in Norvegia, il silenzio che regna al mercato del pesce è un'esperienza straniante per noi viaggiatori mediterranei, ancora di più quando le poche parole che giungono alle orecchie sono in italiano.
Sono proprio gli idiomi del mondo a contribuire a rendere ogni paesaggio unico e a suscitare in noi emozioni. La musicalità di un dialogo in francese origliato a un semaforo parigino ha stuzzicato la mia voglia di imparare la lingua, mentre la sensazione di inquietudine provocata dai suoni del croato mi è rimasta appiccicata addosso e non riesco a separarla dall’aspro paesaggio dell’isola di Krk.
Spesso le lingue sono mescolate ai rumori di fondo tipici di ogni grande città, le sirene dei mezzi di servizio, le frenate delle auto nel traffico, lo sferragliare dei tram sui binari e lo scalpiccio dei passi affrettati lungo le vie del centro: ascoltando con attenzione, ogni metropoli ha le sue peculiarità legate proprio a questi suoni.
Se le mappe dei viaggi passati sono in grado di evocare ricordi sonori, si può provare a immaginare quali suoni sentiremo durante il prossimo viaggio. Puntiamo un dito sulla cartina e tracciamo il nostro itinerario. Al ritorno, insieme all’album delle foto, avremo un bagaglio di ricordi sonori da archiviare in uno dei cassetti della memoria.