Idee di viaggio

Norvegia: l'ultimo sentiero d'Europa

Alberto Montemurro

Alberto Montemurro

A volte accade di mettersi in viaggio con un obiettivo per poi scoprire, arrivati a destinazione, che la vera meta è un po' più in là. Qualcosa di simile è accaduto ad Alberto, che ce lo racconta in questo articolo.

Non è tempo per noi, diceva qualcuno. Non è tempo per noi che camminare ci piace troppo, aggiungevo io il 31 dicembre 2020, quando ero a casa col Covid, chiuso in una stanza, infetto e segregato, festeggiando al computer il peggior Capodanno di sempre. Una beffa niente male.

Benvenuti in Norvegia | Credits Alberto Montemurro
Benvenuti in Norvegia | Credits Alberto Montemurro
Una beffa che val la pena raccontare

A farmi compagnia, in un angolo, lo zaino che da un lustro mi aveva accompagnato ovunque. Sul davanti c’è un piccolo foro da rammendare, mi ricordo che nel portafoglio avevo una toppa, e tanto per fare qualcosa la tiro fuori: una piccola bandiera norvegese di pezza, perfetta per coprire il buco. A pensarci bene, anche la Norvegia era stata una beffa, ma una di quelle che vale la pena raccontare.

Fra le tante idee che hanno sempre frullato nella mia testa e in quella di tutti i  tapini a cui piace viaggiare, c’era sempre stata quella di viaggiare fino ai “punti più in là che vedevo sul planisfero”. Volevo prendere le misure al mondo, un po’ come i portieri che toccano entrambi i pali prima di un rigore: ti fa sentire più consapevole degli spazi, più sicuro, in controllo.

Ora, sia perché non volevo fare la fine di Rob Scott in Antartide, sia perché non avevo mai visto una cartina sinocentrica fino all’anno prima, avevo individuato le due estremità in Capo di Buona Speranza e Capo Nord, decidendo di iniziare dalla seconda.

Isole Lofoten | Credits Alberto Montemurro
Isole Lofoten | Credits Alberto Montemurro
L'ultima cosa che mi aspettavo di trovare

Sin da quando Peppino Acerbi lo raggiunse per primo via terra, il viaggio a Capo Nord ha sempre avuto un fascino particolare, ed il completamento della strada asfaltata nel 1956 fu l’apripista per la sua successiva trasformazione in un vero e proprio classico del turismo. Siccome i classici mi piacciono, ma fino a un certo punto, invece di risalire la Norvegia da Oslo avevo scelto di passare prima per un arcipelago molto speciale: le isole Lofoten.

Ecco, le Lofoten sono una specie di Norvegia al quadrato. Uno si convince che neanche in Norvegia potrebbero mai esistere fiordi così ripidi, paesaggi tanto perfetti, ma in quell’arcipelago Slartibartfast, progettista di pianeti, ha deciso che voleva proprio strafare, e ha disegnato guglie di roccia così appuntite che il mare sembra addentare il cielo. A fianco di queste cattedrali di terra si infilano le strade norvegesi con capriole impossibili, zigzagando fra le rorbu, le tipiche casette rosse di pescatori, l’ultimo colpo di pennello per rendere il paesaggio, se possibile, ancora più perfetto. Non sai se sentirti infastidito da tanta perfezione, come se ci fosse una quinta teatrale che da un momento all’altro può crollare, svelando l’inganno, o se sentirti in colpa perché stai attraversando con un motore quei chilometri che meriterebbero tanta lentezza, contemplazione, e un passo lento, felpato (Lofoten significa proprio “zampa di lince”, vorrà pur dire qualcosa).

Dopo tanto, troppo spettacolo, arrivo a poche centinaia di metri da Capo Nord, e vedo l’ultima cosa che mi aspettavo di trovare. Un casello. Subito inizio a pensare che il primo palo, invece di toccarlo coi guanti, forse l’ho proprio preso in faccia.

Un branco di renne | Credits Alberto Montemurro
Un branco di renne | Credits Alberto Montemurro
Knivskjellodden? Era troppo.

Immaginate di essere un baldanzoso pellegrino del Trecento, di farvi tutto il cammino dall’Italia fino a Santiago, in mezzo a pioggia, fango, pericoli, fra terre a voi sconosciute, senza mappe o GPS, dopo tante fatiche finalmente arrivate, meditate, pregate, eccetera, poi tornate a casa e vi dicono che sì, certamente bellissimo e suggestivo, ma non è che il Santo fosse proprio lì, ecco, non è che le reliquie fossero proprio reliquie, che alla fine un po’ di san Giacomo lo trovavi anche a Milano, o magari persino a Pistoia. Persino un docile e serafico pellegrino si sarebbe sentito preso in giro, e quantomeno gli avrebbero girato i medioevali cabbasisi.

Ecco, pur non avendo affrontato le fatiche del sopracitato pellegrino, alla vista del casello mi sono sentito così. Oltre il casello, l’inferno.

Migliaia di turisti arrivano - arrivavano - e si fermavano lì: venghino, c’è il bar, il negozio, il braccialetto, spille e spillette, la toppa per lo zaino, snack, la Coca-Cola senza zucchero, con più zucchero o al gusto ciliegia, la foto con il Globe tutto in metallo, puoi pure fare le boccacce mentre va l’autoscatto, lì c’è il cinema, Disneyland e Jurassic Park tutti assieme, per lo spettacolo del nano ci stiamo attrezzando.

Mentre mastico amaro e penso un vago c’hanno preso tutto, anche l’ultimo pezzetto di terra in fondo alla Norvegia, e che forse neanche posso lamentarmi perché in fondo sono parte del problema, l’ultima beffa. Mi dicono che, beh, sì, non sappiamo proprio come dirtelo, ma non è che Nordkapp sia esattamente il punto più a Nord d’Europa, ecco, quello sta da un’altra parte, è un promontorio dal pronunciabile nome di Knivskjellodden. Era troppo.

Knivskjellodden: l'emozione è impronunciabile
Knivskjellodden: l'emozione è impronunciabile
Dove inizia la magia

Il conseguente rosicamento mi fa prendere subito una decisione: anche se non ho un’idea precisissima di come si arrivi laggiù, anche se mi hanno parlato di 18 kilometri di cammino e sembra piuttosto lunga (per fortuna il “sole di mezzanotte” Norvegese garantisce tante ore di luce), lascio in tutta fretta Nordkapp. Gambe in spalla, e via verso il promontorio

Lì finalmente finisce la beffa, e inizia la magia. Tanto per cominciare, non c’è una vera traccia, solo dei tutt’altro che loquaci mucchietti di pietre, e per finire non c’è anima viva. Si cammina fra fango e pietre, soli. Almeno, finché non passa la prima renna. E la seconda. E poi un’altra, e poi improvvisamente un intero branco, che in qualche modo spavento e che decide di galopparmi accanto, spostando il vento dell’oceano. Spariscono fra le rocce, mentre mi avvicino lentamente alla costa, e il rumore delle onde si fa più vicino. Non c’è nient’altro, lì alla fine dell’ultimo sentiero d’Europa. Solo vento e acqua, e fra i sassi una piccola cassettina di ferro dove trovi un libro, insulti, italianissime bestemmie, e pensi che siamo capaci di farci riconoscere anche in quaranta centimetri cubici, tanto che la prima cosa che salta all’occhio è la scritta “Panda”. Dalla riva si riesce a vedere anche Nordkapp.

Penso che alla fine ci sono stato, e ho preso la mia brava pezza come tutti, ma non è mai uscita dal mio portafoglio, nonostante il foro allo zaino si stia allargando. A guardarlo, ora che la libertà di quei passi sembra un po’ meno lontana, penso che forse la toppa non sarebbe così peggio del buco, ma poi ad allargarsi è sempre un gran sorriso, che sa di renne e beffe norvegesi. Ci ripenso, mi tengo buchi e sorrisi e il Knivskjellodden, e il souvenir torna nel portafoglio. Evviva il danno, evviva la beffa.

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